Piange piange Maria, povera donna


Teatro di Ricerca Sperimentale Teatro A
La Macina


Lo spettacolo, in un tempo, nasce dalla organizzazione drammaturgica e scenica del materiale popolare di tradizione orale a soggetto religioso, relativo alla Passione, in particolare della Madonna, raccolto in molti anni dai due gruppi storici di Ricerca e Produzione Teatrale e Musicale, facenti capo, per la musica ed i canti a La Macina, sotto la direzione dell'etnomusicologo Gastone Pietrucci; e per i testi drammatici allo Sperimentale Teatro A con la direzione artistica di Allì Caracciolo.

Il patrimonio dei canti e delle laudi, preghiere e Sacre Rappresentazioni provenienti dall'Italia Centrale, soprattutto Marche, Umbria, Abruzzo, appartiene rigorosamente alla tradizione orale, ed è pertanto in via di sparizione.

Il testo scenico s'impernia sulla figura di Maria, così come è sentita nei secoli della pietà popolare che, se da un verso non ne celebra l'astratta divinità, dall'altro ne delinea, e condivide, l'esasperata "umanità", identificando nel dolore di lei il dolore stesso di una umanità trafitta dalla violenza, da miseria e solitudine. In tal modo anche il divino è recuperato in una drammatica significazione all'interno della storia e della iniqua sofferenza generata dagli uomini.

I testi si fondono in una drammaturgia che si propone di non avvicinare e far convergere i due generi, musica e prosa, ma di unificarli in un solo "cantato" che riporta alle origini in cui nasce la parola-canto all'interno dell'evento, in cui cioè il dolore si fa pianto, la storia canto e lamento.

Determinante, in tal senso, la figura dell'Aedo, l'antico cantore vagante, un rapsodo partecipe e attento, che incarna il tramite tra l'evento e il suo affidamento alla memoria.

In quanto questa è il fondamento non solo della storia, ma dell'essere uomini, ed in tempi di immemoria quali i nostri, l'Aedo si pone ancor più intensamente come necessità di testimonianza. Per questo lo spettacolo si chiude con un passo dal Il canto del popolo ebraico massacrato di Yitzhak Katzenelson, dopo il quale le note di un canto yiddish possono sfumare in quelle di un Salve Regina popolare, a testimoniare malinconicamente le aspre vie della speranza dei diversi popoli.

Scrive Gastone Pietrucci di questo spettacolo: "Laudi e Sacre Rappresentazioni [...] contrapposte ed incastonate in un continuo parallelo-confronto tra parola e cadenze, valori fonetici e musicalità, corpo, voce e maschera facciale, per rappresentare Maria come da secoli l' ha vista e cantata il popolo: non la Regina dei Cieli, ma una tenera, spaesata, angosciata madre terrena [...] in un continuo, serrato confronto e scontro fra ieraticità antiche e strazi moderni".