Il Cantico (il gioco dell'amore) > Bifo Band

Canzoni liberamente tratte dal Cantico dei Cantici.

Testi e Musiche: Claudio “Bifo” Bassi
Arrangiamenti: Massimo “Red” Coppola – Bifo Band
Realizzazione: Bifo Band

“Dio si conosce solo attraverso l’amore. Solo gli “amanti” conoscono Dio. E solo quando uno ama è immagine di Dio. Se non ci amiamo non è vero che siamo immagini di Dio. E Dio rimane senza epifania. E non ci sono altre teofanie sulla terra”. (D.M. Turoldo)

Per secoli, nella storia della Chiesa, il Cantico dei Cantici ha rappresentato per molti “benpensanti” un imbarazzante intromissione di oscura origine (pagana?) nella parola di Dio.

Per alcune frange particolarmente sessuofobiche il sospetto può rimane fondato ancora oggi lasciando tuttora perseguibile il suggerimento di S. Girolamo (lettura consigliata solo agli ultrasessantenni!).

Il suo inserimento nella Parola fu sicuramente alquanto tormentato tra chi lo considerava un canto da osteria e chi, appunto,  il “Canticissimo”, il più rappresentativo del volto di Dio.

Eppure, leggendolo, non sono molti i dubbi interpretativi; anche (e forse soprattutto!) per chi in generale, come la maggioranza di noi laici, non possiede raffinati elementi tecnici per la lettura biblica, appare sin troppo evidente che la storia che si narra racconta di due innamorati. Certo, l’interpretazione dell’amore tra uomo e donna come parafrasi del rapporto tra Dio e Popolo e tra Cristo e Chiesa hanno una dignità esegetica che non evita però, almeno in alcune letture evidentemente “tirate” all’eccesso allegorico, di sfociare nella pateticità.

Qui si parla in primis di corporeità, di sessualità e di genitalità, di puro erotismo al punto di far ritenere a molti il Cantico quale la massima espressione della letteratura erotica.

L’autore del libro (Salomone?) narra dell’incontro amoroso tra due giovani il cui nome può essere tradotto dall’ebraico come “Pacifico” e “Pacifica”. I due scoprono assieme come appunto “la pace” sia l’elemento base per “essere” e “fare” l’amore. Pacifico e Pacifica sono presentati come una coppia “universale” che non rientra negli stereotipi né della nostra né di altre culture. I due non esibiscono nessuna certificazione ufficiale, non sono “sposi”, ma una “ragazza e un ragazzo”, una coppia di fatto … nel senso che sono “di fatto” una coppia in quanto non c’è giustificazione all’amore se non l’amore stesso. Nella loro storia c’è il “desiderio” che si contrappone al “tutto e subito”, c’è il bacio come la sublimazione del porsi “faccia a faccia”, c’è la “ carezza più inebriante del vino”, c’è il “profumo” che sconfigge i nostri troppi “odori”, c’è la “contemplazione” che diventa la disciplina artistica di una cultura sessuale profondamente umanizzante, c’è il “gioco” al nascondersi, al coltivare la complicità …

Pacifico e Pacifica “sconfiggono” il dramma della scoperta della reciproca nudità di Adamo ed Eva convertendolo, in evidente contrappunto alla Genesi, in strumento per la scoperta della reciproca bellezza. Certamente, c’è anche nella dinamica della coppia “Pacifico e Pacifica” la crisi della “notte”, la nostalgia della distanza fisica e mentale e l’intromissione dall’esterno di “volpi” scaltre e furbe che tentano di minare l’esclusività del loro rapporto. C’è anche, però, la riscoperta del ruolo di lei, Pacifica, che se nella Genesi era la “brama dell’uomo” diviene nel Cantico chi “brama all’uomo” al punto da farle esclamare “se tu fossi il mio fratello potremmo mostrare il nostro amore per strada”.

E’ particolarmente stimolante verificare come nel Cantico il protagonismo della coppia sia sfacciatamente in favore di lei: è Pacifica il primo attore! È lei che rifiuta di entrare nell’harem di Salomone mettendo in grave imbarazzo i suoi fratelli, è lei che sceglie il suo lui e non, come era allora scontato, i suoi genitori ed è lei che, sfacciatamente, lo vuole portare a casa dalla madre!

Pacifico e Pacifica mettono “un sigillo nel loro cuore” e scoprono come “l’amore sia forte come la morte … fiamma del Signore”. E’ questo l’unico momento in cui Dio viene nominato nell’intero Cantico. E’ un immagine di Dio che leggiamo profondamente cristiana in quanto rappresenta un Signore che s’ “incarna”, che si fa carne, nel senso proprio di “ciccia”, nello stesso momento in cui la carne si fa Dio. Pacifico e Pacifica scoprono che non è possibile fare all’amore se non si è amore e questo, racconta la “nostra” Pacifica bisognerebbe spiegarlo ad alcuni “ministri del culto” …

In conclusione, come dice il testo di una canzone di uno stagionato cantautore veronese di cui ora ci sfugge il nome, il Cantico canta di “… un amore che si è fatto carne, che sconfigge la paura …”

Allora, canto “da osteria” o “dei cantici”?

Noi propendiamo per la seconda ipotesi, nel contempo certi che la sua profonda, umana e laica spiritualità ne faccia “canzone” capace di rendere “tempio” anche una “pagana” osteria.