Orchestrare al computer
Se capire come sarà un pezzo per orchestra suonandolo al pianoforte richiede un grande sforzo immaginativo, supportato da un gran mestiere e una gran capacità di ascolto, le possibilità offerte dalla tecnologia moderna semplificano di molto le cose: ormai si può “suonare” l’orchestra alla tastiera. I campionatori permettono infatti di avere un’anteprima abbastanza credibile di un brano orchestrale. Non una simulazione perfetta, non il sostituto di un’orchestra vera, ma con un lavoro certosino ci si avvicinare alla sonorità complessiva della strumentazione classica.La simulazione al computer non è universalmente ben accetta. Mentre in ambito accademico permangono motivate riserve, la nuova tecnologia è stata subito ben accolta nella produzione cinematografica. In effetti, i due ambiti sono molto diversi. Nella musica “colta” il rapporto con l’interprete, il suo virtuosismo e la sua capacità di dominare ogni sfumatura del suono rimane di fondamentale importanza. La partitura è un copione da affidare necessariamente alle doti esecutive di quel prodigioso attore che è l’interprete.
Nel cinema (ma anche nella musica pop), se ci si consente una semplificazione, l’aspetto mistico del rapporto tra compositore e interprete è molto più sfumato. Il suono dell’orchestra cinematografica è stilizzato, è in genere un segnale che innesca precise sensazioni: dal sentimentalismo implicito al pianoforte, all’attesa generata dei violini fermi nell’acuto, alla minaccia insinuata dai contrabbassi che si accaniscono nel registro grave, al trionfo delle fanfare a pieno volume – l’importante è l’effetto finale, la “macchia sonora” percepita dallo spettatore come sovrapposta alle immagini in movimento.
In questo caso l’approssimazione offerta dai campioni è più che adeguata; alcuni compositori prediligono addirittura ad una perfetta simulazione dell’orchestra sonorità meno realistiche, più processate e “prodotte”, che richiamino immediatamente il clima creato dalle scene cinematografiche. Naturalmente, il compositore (come del resto la produzione) apprezzerà il fatto che una simulazione costi assai meno che un’orchestra vera.
Anche se il costo relativamente contenuto delle orchestre dell’Europa Orientale ha reso più facile ricorrere ad un’orchestra vera per la versione finale della colonna sonora [anche nel caso di produzioni a medio budget], la simulazione orchestrale si è rivelata un efficacissimo sistema di prototipazione, che consente di ascoltare e discutere il lavoro prima di procedere alla registrazione con gli strumentisti. In questo modo si può lavorare al montaggio con le bozze della colonna sonora autentica, invece di ricorrere a brani di repertorio che il musicista dovrà, tristemente, ricalcare nelle ultime settimane che precedono l’uscita del film.
Nel cinema non è raro che si affianchino strumenti campionati a strumenti veri. Questo accade, ad esempio, nella colonna sonora del Tè nel deserto scritta da Ryuichi Sakamoto per il film di Bertolucci, con un effetto a volte straniante ma percepibilmente “umano”, per nulla meccanico. Anche Hans Zimmer, Jeff Rona, Mark Isham ed Howard Shore, solo per citarne alcuni, ricorrono volentieri ad un sistema misto quando il budget non consente di impegnare a tempo pieno un’orchestra vera.
Sono celebri le immagini del vecchio studio Mediaventures di Hans Zimmer e Jeff Rona, con le pareti interamente ricoperte di campionatori (e altri strumenti).
Mediaventures, lo studio condiviso, tra gli altri, da Hans Zimmer e Jeff Rona, conteneva pile di campionatori.
Per Zimmer fu un atto decisamente zen passare ad un sistema basato su campionatori software.
A proposito di computer ed umanità: è noto che la musica scritta non corrisponda freddamente a quella suonata. La trascrizione esatta di un’interpretazione umana sarebbe una festa di semibiscrome. Di conseguenza, agli albori dell’uso dei personal computer in musica non si poteva riutilizzare direttamente il midifile di una registrazione dal vivo per realizzare la partitura. I sistemi di interpretazione introdotti sia nei sequencer che nei programmi di notazione hanno però via via reso più facile trascrivere in tempo reale un’esecuzione dal vivo.
Lo stesso passaggio registrato dal vivo, con (A) e senza (B) accorgimenti di “interpretazione” da parte del programma di notazione.
In direzione opposta: i programmi di notazione (in particolar modo Sibelius e Finale) hanno perfezionato gli algoritmi di interpretazione delle note scritte, e il riascolto del brano che si sta componendo non dà l’impressione di avere come assistente il non troppo socievole HAL.
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